I conti senza la cultura. Lettera aperta sulla chiusura di biblioteche, archivi, istituti culturali
Al Presidente del Consiglio dei Ministri Prof. Giuseppe Conte
Al Ministro per i beni e le attività culturali e il turismo On. Dario Franceschini
e p.c.
Al Ministro dell’Università e della Ricerca Prof. Gaetano Manfredi
Al Direttore Generale Biblioteche e diritto d’autore MiBACT Dr.ssa Paola Passarelli
Al Presidente del Consiglio Superiore per i Beni culturali e Paesaggistici Prof. Marco D’Alberti
Al Presidente del Comitato tecnico-scientifico per le biblioteche e gli istituti culturali – MiBACT Prof. Alberto Petrucciani
Al Presidente del Comitato tecnico-scientifico per gli archivi -MiBACT Dott.ssa Diana Toccafondi
Al Presidente del Centro per il libro e la lettura, Dott. Diego Marani
Alla Presidente dell’AIB Dott.ssa Rosa Maiello
Alla Presidente dell’ANAI Dott.ssa Micaela Procaccia
Al responsabile CGIL FP MiBACT Dott. Claudio Meloni
I conti senza la cultura.
Lettera aperta sulla chiusura di biblioteche, archivi, istituti culturali
L’associazione dei lettori della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, ben consapevole della necessità di misure per contenere l’epidemia e ridurre i contagi e salvaguardare la salute di cittadini e lavoratori, deplora tuttavia i termini del DPCM in vigore da venerdì 6 novembre, in ragione del quale biblioteche e archivi vengono nuovamente chiusi su tutto il territorio nazionale, senza alcuna modulazione a seconda della situazione epidemiologica e delle misure messe in atto dai singoli istituti a tutela di lavoratori e utenti.
Biblioteche e archivi si sono ripresi con molta fatica dal lockdown della scorsa primavera. Da maggio abbiamo assistito a una progressiva riapertura, costata lavoro, sforzi e investimenti (per sanificazioni, igienizzazioni, acquisto di dispositivi igienici, di termoscanner, di macchinari speciali per le procedure previste dai protocolli di sicurezza). Sono circolate ovunque le immagini dei baristi e dei ristoratori che hanno affisso sulla porta dei loro locali le spese sostenute per riaprire. Le direzioni degli istituti culturali potrebbero agevolmente fare lo stesso. Le spese sostenute dagli istituti culturali sono denaro pubblico.
Per riaprire da maggio, gli istituti culturali hanno applicato rigorosi protocolli, che tra le altre cose hanno drasticamente ridotto le capienze delle sale di studio.
Sulla base del DPCM, sono state chiuse anche le biblioteche civiche dove vigono protocolli altrettanto stringenti e altrettante limitazioni delle capienze. Viene così sospeso un servizio per la cittadinanza che non solo è pubblico, ma è anche di prossimità, utilizzato prevalentemente da chi abita vicino alla sede della biblioteca.
Vengono interrotte persino le attività di prestito (previo appuntamento), riportando le biblioteche al tempo del lockdown totale.
Alla luce di tutto questo, la scelta del governo di colpire indiscriminatamente tutti gli istituti culturali suona come l’ennesima dichiarazione sul valore attribuito alla cultura e ai servizi culturali in questo Paese.
La chiusura totale degli istituti rappresenta uno spreco di quelle risorse pubbliche meritoriamente investite sinora per garantire la loro riapertura da maggio.
La chiusura totale degli istituti blocca di nuovo ricerche, tesi di laurea e di dottorato, attività di ricerca indipendente, lavori editoriali e traduzioni, attività di aggiornamento e documentazione di insegnanti di ogni ordine e grado. Blocca quindi non solo attività ricreative e del tempo libero, bensì blocca attività formative e produttive che prevedono risultati, scadenze, stipendi, borse di studio (in genere altro denaro pubblico).
Il messaggio veicolato dal governo, dalle misure del DPCM e dai mezzi di informazione, in questi giorni, è che la cultura e i servizi culturali sono esclusivamente tempo libero, servizio superfluo, attività improduttiva. Si possono chiudere, e per la riapertura si vedrà. È questo desolante aspetto che, insieme alle misure contenute nel DPCM in vigore dal 6 novembre, l’associazione lettori della BNCF denuncia.
Le misure del DPCM sviliscono il lavoro dei bibliotecari, degli archivisti, dei funzionari degli istituti di cultura, nell’ambito del quale il rapporto con il pubblico e il servizio all’utenza è una componente essenziale.
Le misure del DPCM negano la dignità del lavoro di studiare, la dignità di tutti e tutte coloro che lavorano nell’ambito della cultura, dei servizi culturali, dell’editoria.
Rifiutiamo la chiusura indiscriminata di tutti gli istituti di cultura. Chiediamo che le misure siano almeno modulate, secondo le aree individuate. Laddove ci sono le condizioni epidemiologiche per cui tutte le attività produttive e commerciali restano aperte – o con minime limitazioni – è necessario garantire che possano aprire al pubblico anche tutti quegli istituti che garantiscono la sicurezza dei propri lavoratori e dei propri utenti.
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